Ho fatto più di 4 anni di viaggi in treno per l'università, i primi tre anni, ogni sabato mattina dovevo andare fino a Padova per sentire le lezioni dei professori. Il primo anno i primi viaggi del sabato mattina li facevo da solo, non avevo ancora molta confidenza con gli altri compagni di corso, una di queste mattine in treno incontrai una ragazza che mi colpì molto, sceso dal treno, quella mattina fu diversa, mi sentivo diverso ricordo che mi paragonai ad un personaggio di un videogioco che tutto d'un tratto era cresciuto di parecchi livelli...
Il racconto lo scrissi un paio di giorni dopo, ovviamente lo farcii un pochetto per renderlo più interessante ed emozionante... è uno dei miei preferiti, lo rileggo sempre volentieri, tanto che lo spedii ad un concorso ^_^
Finalmente era arrivato. Aveva perso la coincidenza delle 8:03 e il treno dopo era arrivato con cinque minuti di ritardo. Se ci fosse stato qualche altro inconveniente non sarebbe mai arrivato puntuale per l'inizio delle lezioni. Avrebbe assistito ad un'altra lezione di analisi dall'ultima fila; cercando di carpire che cosa il professore stesse scrivendo alla lavagna sbirciando una informazione qui e una là dai quaderni di quelli che gli stavano davanti.
Ma quanta gente c'era su quel treno! Sembrava che l'intera città stesse scendendo: due ragazzine con gli zaini che ridacchiavano e che si raccontavano le stupidaggini tipiche di quell'età; ecco il ragazzo che sembra dire "largo che sta passando il più figo di tutti" con le mani nelle tasche di un jeans di due misure più grande, capelli rasati sui lati e tinti di biondo sopra, zaino incrostato di colori completamente vuoto, orecchini di rito e camicione a quadroni aperto per fare vedere la maglietta di un gruppo di cantanti in voga in quel periodo; marito e moglie che parlottano su che cosa fare a pranzo; gruppetto di militari con i borsoni pieni di roba sporca da portare alle madri, con la sigaretta in bocca e l'aria degli uomini vissuti; coppia di signori anziani che non riescono a scendere dai gradini con i valigioni che pesano quintali e che se li spingessero giù dal vagone forse avrebbero lo spazio per scendere; vecchia che per fare un passo impiega un minuto e che arrivata ai gradini guarda fuori con delle occhiate che chiedono un aiuto a chiunque le incrocia; ecco la signora gentile che l'aiuta, mentre lui e gli altri che stanno aspettando di salire si guardano in giro e fanno finta di niente.
Finalmente anche l'ultimo passeggero era sceso, ora cominciava la gara per salire per primi ed accaparrarsi i posti che si riuscivano a trovare: per primi venivano occupati quelli vicino ai finestrini prediligendo, se erano disponibili, quelli dove sulle tre poltrone vicine non c'era nessuno, poi, se tutti quelli vicini ai finestrini erano già stati presi, si cercava un posto dove i passeggeri che erano già seduti ispirassero fiducia, erano evitati in questo modo i posti vicini a persone che stavano parlando, non ci si sedeva vicino a quelli che stavano leggendo il giornale perché erano sempre con i gomiti che occupavano il sedile accanto, molto richiesti erano invece quelli che sembravano sonnecchiare o che facevano finta di leggere uno di quei libroni da mille pagine.
Lui era stato uno dei primi a salire, come se, più presto avesse fatto, e prima il treno sarebbe partito, ed era anche riuscito a trovare il posto vicino al vetro; aveva occupato quello di fronte a lui con lo zaino in modo che nessuno potesse sedersi di fronte a lui così poteva allungare le gambe quanto voleva. Ormai si era seduto ma il treno ancora non accennava a partire. Anche stavolta sarebbe tornato a casa con il torcicollo a furia di spostarlo a destra e a sinistra per riuscire a copiare gli appunti degli altri studenti.
Finalmente stava per partire; il rumore delle porte che si chiudevano e il sussulto della carrozza che veniva tirata dalle altre. Il posto a fianco del suo zaino era stato occupato ma non gli interessava, era assorto nei suoi pensieri e stava canticchiando un motivetto che aveva in testa ancora dalla sera prima.
«È
tuo?», fu la frase che gli giunse alle orecchie.
Chi aveva il coraggio di disturbarlo? Chi si era permesso di infrangere la regola del silenzio sui treni? Odiava le persone sconosciute che gli rivolgevano la parola anche solo per chiedergli semplicemente l'ora. Ci mancava solo questa in una giornata incominciata male. Si girò mal volentieri verso la direzione dalla quale era venuta quella domanda e pronunciò una flebile affermazione.
«
Posso spostarlo?».
Questo era troppo, una ragazza gli stava di fronte con il suo zaino in mano e stava compiendo il movimento per appoggiarlo sul sedile in parte a lui. Era sconcertato, come si era permessa di fargli quella domanda.
«
Sì, sì», rispose.
La ragazza era quella che aveva occupato l'altro posto davanti a lui e adesso si era spostata dove prima era lo zaino, vicino al vetro, e così fu costretto a ritirare le gambe per fargli spazio. Lei avvicinò il braccio al finestrino e sulla mano appoggiò la guancia. Strinse le gambe come se stesse sentendo freddo e si infilò l'altra mano fra le cosce. Tirò su la testa e si coprì uno sbadiglio con la mano, poi riprese la posizione di prima e non distolse più lo sguardo dall'esterno.
In ogni viaggio in treno che aveva fatto non gli era mai capitato che gli facessero più di una domanda, un paio di volte gli avevano chiesto l'ora, un'altra che stazione fosse quella in cui si era fermato il treno; ma mai gli era successa una cosa del genere. Non riusciva a capire come si fosse permessa di toccargli lo zaino, se era in quel posto voleva dire che c'era un motivo ben preciso. Forse si era alzato con la luna di traverso, forse la mattina non stava andando proprio nel verso giusto, fatto sta che aveva i nervi a fior di pelle e non riusciva a sopportare l'idea che qualcuno avesse occupato il posto di fronte a lui. Per fortuna che sarebbe arrivato presto, doveva scendere alla prima fermata, ma sarebbe dovuto trascorrere ancora un quarto d'ora. Cercò di non pensarci più e riprese a ripassarsi nella mente il ritornello della canzone.
Le chiacchiere di alcune ragazze che sghignazzavano lo fecero ritornare in sé e il rumore dello sfogliare le pagine di una rivista gli diede un profondo senso di fastidio, avrebbe voluto avere delle cuffie insonorizzate. Cercò di cambiare posizione e allungò le gambe. Il suo piede destro fu ostruito da qualche cosa che lo fece ritirare istantaneamente all'indietro come le antenne di una lumaca quando i bambini le toccano. Aveva urtato il piede della ragazza che non si mosse di un millimetro, sempre impegnata a guardare fuori dal finestrino.
Si era totalmente dimenticato quell'inconveniente dello zaino e, adesso che gli era ritornato alla mente, si rese conto della sua idiozia. Si girò di nuovo verso il finestrino: le immagini scorrevano via senza dargli il tempo di capire dove fosse, vedeva solo campi appena arati, qualche casa grigia sorvegliata da un cane che passeggiava nel giardino o dormiva disteso per terra, cavi sospesi per aria che si muovevano su e giù. Ruotò la testa e per un attimo incrociò lo sguardo della ragazza che si rifletteva sul vetro. Si rese conto che non l'aveva ancora vista, con sguardi fuggenti, allora, cercò di squadrarla dalla testa ai piedi, o meglio, dai piedi alla testa. Partì infatti dalle scarpe. Erano delle scarpette da ginnastica bianche, non erano nuove ma nemmeno troppo consumate, dovevano essere un trentasei o trentasette; aveva delle calze nere, velate ma non lucide, non avevano grinze e l'accostamento con le scarpe gli sembrava perfetto. Aveva i jeans azzurri, consumati ma non rovinati. Salendo con lo sguardo fu colpito da una macchia bianca subito sopra il ginocchio destro ma che non riusciva a capire se fosse la stoffa che era grattata o una vera macchia. La mano destra era ancora tra le gambe e ogni tanto si muoveva su e giù per scaldarsi. Portava un giubbotto jeans di un colore un po' più scuro di quello dei pantaloni. Sotto il giubbotto riusciva a vedere un maglioncino con la scollatura a V e una camicia bianca con il primo bottone slacciato che faceva vedere il collo. Il colletto del giubbotto era tirato su come a proteggerla dal freddo. Il viso non era truccato, sembrava che si fosse appena svegliata e sciacquata la faccia con l'acqua fredda. Era bruna con i capelli raccolti alla svelta all'indietro con un elastico, non erano molto lunghi ma abbastanza da poter fare un corto codino. Le fessure degli occhi erano scure e profonde, non si intravedeva il bianco. Le labbra non erano sottili ma nemmeno troppo carnose e ogni tanto si muovevano lentamente in avanti. Per un attimo spostò la testa e sollevò la guancia dall'appoggio della mano. Sul viso aveva una macchia rosata per la posizione che aveva tenuto a lungo e che subito venne ripresa. Era sicuro che se l'avesse incontrata per strada non ci avrebbe fatto caso; non era una ragazza bellissima, era piuttosto comune, ma aveva anche qualcosa di diverso. Adesso era quasi contento che si fosse seduta vicino a lui, era in un certo senso affascinato da quella strana ragazza. La vedeva strana, sì. Qualche cosa in lei lo aveva stregato, forse quella macchia sul pantalone, forse quel curioso movimento delle labbra. Ripensò a quando le aveva visto il suo zaino in mano e senza rendersene conto sorrise. La ragazza sembrò accorgersene e girò lo sguardo che si incontrò con il suo, entrambi lo distolsero immediatamente.
Un attimo, una misera frazione di secondo, che però gli fu sufficiente per guardarle gli occhi e convincerlo. Erano neri e profondi, non si distingueva la differenza tra l'iride e la pupilla. La cornea non era di quel colore bianco tipico, ma aveva delle sfumature grigie. Non aveva mai visto uno sguardo così, e sì che lui se ne intendeva di sguardi; praticamente tutta la sua vita di adolescente l'aveva passata a studiare gli occhi delle sue amiche, a farne la sua passione segreta, tanto che era giunto alla conclusione che la sua donna ideale avrebbe avuto gli occhi verdi, perché, a suo parere, quel colore aumentava di parecchi punti la bellezza di una ragazza. Quello che però aveva davanti era qualcosa di inaspettato, tutto il suo sistema di valori stava crollando, senza nemmeno dargli alcun preavviso. Quella che stava osservando era una ragazza del tutto normale che qualcuno avrebbe anche potuto definire insignificante. Era sconvolto, continuava a domandarsi che cosa gli stava succedendo, ma senza ottenere alcuna risposta. Era paralizzato, gli occhi fissi su quella macchia del jeans, con la bocca spalancata che se qualcuno l'avesse visto l'avrebbe preso per un malato mentale. Ma se ciò non bastasse ciò che lo stava facendo impazzire era l'assoluta indifferenza della ragazza, era sempre nella medesima posizione. Un colpo di tosse lo destò, ritornò in se ma l'attenzione per chi gli stava di fronte non era cessata. Adesso le guardava il viso e quel movimento delle labbra, ma non utilizzava più la tecnica degli sguardi rapidi, non aveva paura che lei lo scoprisse mentre la stava osservando, anzi, sperava che i loro sguardi si incrociassero nuovamente, e così fu. Questa volta però durò più a lungo o, così sembrò a lui, e accadde una cosa imprevista. La ragazza gli sorrise. Lui non ebbe il tempo di ricambiare, un po' per l'inattesa reazione ma anche per la velocità con cui lei ritornò a scrutare il mondo esterno.
Era triste. Finalmente era riuscito a capire che cosa nascondessero quegli occhi. Gli aveva sorriso, ma questo era stato solo un modo per allontanarlo; allontanarlo dalla verità, per non farlo avvicinare a ciò che nascondeva gelosamente. In quel momento era sola e non voleva altro che rimanere in solitudine. Lui l'aveva capito, e sorrise di nuovo ma questa volta lo faceva consapevolmente. Si girò verso la sua sinistra e aprì lo zaino, infilò una mano dentro ed estrasse il pugno, richiuse lo zaino. Spostò il corpo in avanti per avvicinarsi alla ragazza e pose la mano aperta sul ginocchio di lei per chiamarla. Quando si sentì toccare non sobbalzò ma si mosse lentamente come se si aspettasse la sua iniziativa. Si girò verso di lui ed incontrò il suo sorriso di complicità. Il ragazzo alzò il pugno e lo aprì facendo apparire un cioccolatino.
«
So che non è molto, ma sono certo che in questo momento e più utile a te che non a me.».
Lei sorrise ed accettò il regalo senza dir niente. Il treno si fermò. Lei alzò la mano e la appoggiò sulla nuca di lui avvicinandolo a sé. Le sue labbra gli sfiorarono la guancia sinistra. «Grazie.», gli sussurrò all'orecchio.
Il ragazzo si alzò, prese lo zaino e, con gli occhi lucidi, scese dal treno, mentre la ragazza lo seguiva con lo sguardo dal vetro del finestrino e con un dito fermava la goccia che le rigava quel viso comune che ora sorrideva nuovamente. |